Le
indagini sulla storia della Chiesa imolese hanno ricevuto, negli
ultimi anni, nuovo slancio in varie direzioni. Purtuttavia, le
vicende plurisecolari
del Seminario vescovile attendono ancora d’essere illustrate, se si esclude
un modesto saggio di Giuseppe Benini e Luigi Figna (I primordi del Seminario
d’Imola) pubblicato nel 1909. La lacuna non appare in alcun modo giustificata,
quando si pensi all’importanza di questa istituzione, eretta il 1 gennaio 1567
da mons. Francesco Guerrini, allora vescovo di Imola. Il cap. 18 del decreto
sull’Ordine, approvato dal Concilio di Trento (XXIII sessione del 15 luglio
1563) aveva stabilito la creazione di seminari per la formazione del clero sulla
base di quanto già previsto dal card. Pole per l’Inghilterra.
A soli cinque mesi di distanza da tale prescrizione veniva fondato il seminario
di Pavia, seguito gradualmente da numerosi altri, tra cui quello romano (febbraio
1565) e quello milanese. Se si considera che l’esecuzione delle norme tridentine
non fu – in questo come in altri casi – universale ed immediata, protraendosi
per tutto il secolo XVII e addirittura nel XVIII, si comprende bene quanto fosse
sollecita l’iniziativa di mons. Guerrini. A quanto pare, la fondazione del seminario,
nella nostra città, precedette nel tempo quella di identiche istituzioni nell’ambito
regionale. Prima d’essere collocato, dal 1728, nell’edificio di via Garibaldi
(oggi INPS), il seminario ebbe sede presso il Monte di Pietà (casa Della Volpe
ove erano, fino a pochi anni or sono, le Ancelle del S. Cuore), poi nel vicolo
dell’Olivo (1575) e in una casa poco distante, più ampia e comoda (1584).
Sebbene non si posseggano ancora precise notizie in merito, si può senz’altro
supporre che, fin dagli inizi, il seminario fosse dotato di una conveniente
biblioteca, destinata a fornire gli strumenti di studio e di formazione per
i giovani allievi. Il nucleo librario originario dovette essere comunque incrementato
progressivamente sia tramite acquisti, sia per donazioni e lasciti da parte
di ecclesiastici o laici. Quando, nel 1798, per legge di soppressione del 27
giugno, il seminario fu, dal governo napoleonico, convertito in caserma, i volumi
presero la via della biblioteca civica, al pari di altri testi razziati dai
conventi imolesi. Con la Restaurazione, la maggior parte dei libri tornarono
nella disponibilità del Seminario. Per ragioni che ignoro (ma che ben potrebbero
essere chiariti a seguito di indagini archivistiche) almeno un centinaio di
titoli restarono tra gli scaffali della biblioteca municipale ove sono, a tutt’oggi,
consultabili. Tra questi volumi meritano d’essere ricordate, almeno, le opere
del criminalista Prospero Farinacci (1544-1618) – il celebre difensore di Beatrice
Cenci – e le edizioni cinquecentesche di Platone nella traduzione e nel commento
di Marsilio Ficino.
Per alcuni anni, dopo l’ultimo trasferimento del Seminario nella sede attuale
di Montericco, il ricchissimo deposito librario rimase accatastato disordinatamente
e perciò inaccessibile agli studiosi. Solo di recente, per iniziativa del rettore
mons. Carlo Dalpane, i testi sono stati schedati e disposti in bell’ordine su
scaffali metallici all’interno dei tre piani destinati ad accogliere la biblioteca.
Qui l’occhio dello studioso ha la sorpresa di rinvenire esemplari di opere antiche
e moderne di eccezionale valore. Mi soffermerò particolarmente sulle prime,
senza trascurare, però, le seconde (e in particolare le ultime, più rilevanti
accessioni).
La destinazione della biblioteca fa sì che i libri di teologia, pastorale,
morale, filosofia risultino di gran lunga i più numerosi. In questo settore
troviamo la Summa del teologo e giurista duecentesco s. Raimondo di
Peñafort,
il Commento alle Sentenze di Durando di St. Pourçain († 1334) – prima
seguace, poi critico severo di s. Tommaso d’Aquino – posseduto nella rara edizione
di Gaspare Bindone (Venezia, 1586). Ancora in edizione cinquecentesca è il Rationale
divinorum officiorum del vescovo francese Guglielmo Durante, già governatore
di Romagna nella seconda metà del Duecento e giurista di primo piano. Una
stampa veronese del 1740 ci offre la Summa teologica di s. Antonino
da Firenze († 1459), rinomato per il suo contributo ai problemi di etica economica. Non
mancano, ovviamente, le opere intere dei più importanti Padri della Chiesa in
edizioni dal Cinque al Settecento: tra essi s. Ambrogio, s. Agostino, s. Bonaventura,
s. Tommaso disponibili pure in traduzione italiana (Città Nuova, Salani).
I commentari biblici sono rappresentati da quello – piuttosto ricercato – del
domenicano Ugo di St. Cher († 1263), del gesuita belga Cornelis Cornelissen
van den Staen (Cornelius a Lapide, 1567-1637), dell’altro domenicano
Noël Alexandre (1639-1724). Numerose le edizioni della Sacra Bibbia: converrà ricordare,
in questa sede, almeno la versione Vulgata veneziana del 1588
con la glossa ordinaria di Anselmo di Laon, Gilberto l’Universale e Nicolò da
Lira (già proveniente dalla biblioteca imolese dei Gesuiti).
La seconda scolastica, che così rilevante contributo offrì alla nascita della
cultura storica, filosofica e giuridica moderna, è rappresentata dal Suarez,
dal De Lugo, dai Tractatus Salmanticenses, dal Bellarmino, dal De
iustitia et iure di Ludovico Molina e da Domingo de Soto (in edizione
del 1573). E qui, per connessione, si potrà introdurre una rapida rassegna
dei testi di diritto posseduti dalla biblioteca del Seminario.
Lo ius commune è intanto rappresentato da una edizione del Corpus
iuris canonici del 1606 e del Corpus iuris civilis giustinianeo
(Venezia, 1584). Di notevole interesse è una copia delle famose Disquisizioni magiche di
Martin del Rio (del 1600), per lungo tempo uno dei manuali più usati dagli
inquisitori nei processi di stregoneria; poi v’è l’opera omnia del lusitano
Agostino Barbosa (1589-1649) e un trattato De coniecturis ultimarum voluntatum (Francoforte
1580) dell’udinese Francesco Mantica, uno dei più rappresentativi
esponenti della tarda scuola italiana del commento. Addirittura sorprendente
l’esemplare giuntino (Venezia, 1582) dei Commentaria in Decretales dell’Abbas
Panormitanus (Nicolò Tedeschi, † 1453). I volumi, di cui si compone l’opera,
recano, nel frontespizio, la nota di possesso del giurista cinquecentesco Scipione
degli Alessandri da Sassoferrato. Tale personaggio dovette verosimilmente appartenere
alla famiglia di Nicolò Alessandri, genero di Bartolo da Sassoferrato († 1357),
il più grande giurista del medioevo e forse della storia occidentale. Strumento
fondamentale per la ricerca storica è il Bullarium romanum da s. Leone
Magno a Pio VIII, in 34 volumi, contenente i documenti pontifici di particolare
solennità in materia spirituale o temporale; in edizione separata è l’opera
ed il bullario di papa Benedetto XIV (Prospero Lambertini, già vescovo di Bologna).
La storia della Chiesa è, ovviamente, documentata da un gran numero di saggi,
antichi e moderni, tra i quali è veramente difficile scegliere i più rappresentativi:
ricorderò solo l’Italia sacra di Ferdinando Ughelli, in 10 volumi e Le
Chiese d’Italia del Cappelletti, in 21. Si pensi, tuttavia, che la Biografia
universale antica e moderna (Venezia, 1822) si estende per 74 libri e il
Dizionario di erudizione del Moroni (Venezia, 1840-61), addirittura
per 103. Considerevole è la presenza, negli scaffali della biblioteca, dell’importante Dictionnaire de Théologie Catholique:
a quanto ne so, unico esemplare presente nella nostra città.
Un discorso a parte meriterebbero, tra le opere di consultazione, i dizionari:
basti, qui, ricordare un esemplare del celebre Calepino per gli eredi del grande
Aldo Manuzio (Venezia, 1548). Tra le opere dei grammatici si segnaleranno, almeno,
le Osservazioni a M.T. Cicerone di Mario Nizolio (1489-1566) che avviarono,
a suo tempo, una bufera di polemiche ma guadagnarono al suo autore l’ammirazione
di Leibniz. E giusto che si è invocato il nome di questo filosofo, converrà segnalare
la presenza, nella nostra libreria, dell’opera omnia (Francoforte
1764) di un celebre allievo, Christian Wolff (1679-1754), esponente dell’illuminismo
tedesco ma comunque fedele alla tradizione della rinnovata scolastica aristotelica,
come fiorì nel mondo delle università luterane: un segnale non trascurabile
dell’apertura intellettuale della chiesa imolese nel secolo XVIII.
Venendo ai giorni nostri, nulla dirò della raccolta di riviste che occupano
l’intero terzo piano della biblioteca: troppo lungo sarebbe, infatti, ricordare
la schiera delle pubblicazioni (a cominciare dalla serie completa dell’Osservatore
romano e del Nuovo Diario). Preme, piuttosto, sottolineare il
valore delle ultime accessioni acquisite, con rara sensibilità scientifica (ma pure
con gravoso impegno economico) sotto la direzione di mons. Carlo Dalpane. In
primo luogo si dovrà annoverare l’intera Patrologia greca e latina curata,
tra il 1844 ed il 1866, da Jacques-Paul Migne che raccolse ed illustrò tutte
le opere dei Padri della Chiesa. La latina, in 218 volumi, più
tre di supplemento, si estende fino ad Innocenzo III (1216); la greca va fino
al Concilio di Firenze (1439) e si compone di 166 volumi. Tali collezioni –
com’è dimostrato dalla versione su supporto informatico curato dalla Chadwick-Healey
- costituiscono ancor oggi il repertorio indispensabile della letteratura antica
e medievale, nonostante i loro difetti. Proprio per rimediare a tali insufficienze
e per estendere il numero degli autori (già trascurati dal Migne), l’editore
belga Brepols ha avviato da anni la pubblicazione del Corpus Christianorum,
Continuatio Mediaevalis che la biblioteca del Seminario vescovile riceve
in abbonamento, a mano a mano che l’impresa editoriale procede nel tempo. Chiunque
abbia la pur minima conoscenza dell’età medievale si rende conto facilmente
del valore assolutamente straordinario che dev’essere riconosciuto a queste
collane di testi, non possedute da alcun’altra istituzione culturale imolese.
E non è tutto. Il direttore del Seminario ha provveduto ad acquisire i facsimile,
a tiratura limitata, di alcuni tra i codici più preziosi custoditi nella
maggiori biblioteche italiane e straniere. Si va dal De universo di Rabano Mauro
(Monte Cassino, 132) alla Bibbia miniata di Borso d’Este, dal codice
musicale Squarcialupi (sec. XIV) della Laurenziana di Firenze al Rotolo dell’Exultet
(Roma, Casanatense 724/3) o al Codex Purpureus Rossanensis, per tacer
d’altri, non meno importanti e famosi: tutti, poi, introdotti da un raffinatissimo
apparato critico. Per quanto ne so, una raccolta simile si trova – nei dintorni
di Imola – solo presso il dipartimento di Paleografia e medievistica dell’Università di
Bologna.
Questa, in brevissima e purtroppo mutila sintesi, è solo una scelta per campioni
di quanto gli studiosi possono trovare in una biblioteca che ha ritrovato non
poca parte del suo passato splendore. Per mantenerla a questi altissimi livelli,
la comunità ecclesiale dovrà pur trovare le disponibilità economiche necessarie
ed il personale in grado di accudirla e renderla fruibile ai ricercatori. Oggi,
più che mai, la Chiesa cattolica può rintracciare, nel meraviglioso deposito
di sapienza affidatole dalla tradizione, gli strumenti per una presenza realmente
incisiva nel dibattito culturale che troppo spesso è diretto da forze intellettuali
recisamente anticristiane. Anche questa, ne sono persuaso, è opera di autentica
carità, perché di null’altro è affamato, l’uomo moderno, che di verità. Insomma,
di Dio.
(Articolo pubblicato sul Nuovo Diario Messaggero n° 35 del 27 settembre 2003) |